Re del Mondo: Il Regno sotterraneo di Agharti (v.) è retto dal Brahmatma (colui che ha il potere di parlare con Dio) ovvero il Chakravarti (Re del Mondo), che regna per il periodo di un Manvatara, una delle quattordici ere (la nostra è quella detta del cinghiale bianco) da cui è composto un ciclo cosmico. Vaivaswata, settimo e attuale Re del Mondo, è in comunione spirituale con tutti i Manu che hanno regnato prima di lui, tra cui il primo Brahmatma Swdyambhuva. Secondo Ossendowski, egli si reca nella Cripta del Tempio dove giace, in un sarcofago di pietra nera, il corpo imbalsamato del suo predecessore, per unire la sua mente a quella dei Manu del passato. La caverna è sempre oscura, ma quando vi penetra il R., le pareti si rigano di strisce di fuoco e dal coperchio del sarcofago si levano lingue di fiamme. Il Guru più anziano sta davanti a lui con il volto e il capo coperti; egli non si toglie mai il cappuccio, perché la sua testa è un cranio nudo in cui di vivo non ci sono che gli occhi e la lingua. Dal sarcofago cominciano a emanare i flussi diafani di una luce appena visibile: sono i pensieri del predecessore del R., ed esprimono le volontà ed i comandi di Dio. Il Brahmatma, insieme al Mahatma (colui che conosce il futuro) e al Mahanga (colui che procura le cause affinché gli avvenimenti si verifichino), forma una potente triade; da essa dipende una società di cavalieri-sacerdoti, i Templari Confederati dell'Agharti, il cui livello più elevato è il cosiddetto "consiglio circolare" formato da dodici iniziati: lo stesso numero, fa rilevare Renè Guenon, dei Cavalieri della Tavola Rotonda di Re Artù (v.). Il R. non è soltanto un capo religioso, ma regge anche i destini materiali del pianeta (l'unità tra il potere spirituale e quello temporale è simboleggiata nella figura del Re-Sacerdote Artù). Il Manu fa in modo che il corso della storia segua un preciso andamento (difficilmente comprensibile e non necessariamente positivo secondo i nostri canoni) in accordo con un ineffabile piano divino. In Mission de l'Inde en Europe (1910), lo scrittore Saint-Yves d'Alveydre sostiene che il R. è il più alto esponente della Sinarchia , una sorta di Governo centrale di uomini di scienza, potentissimo e ramificato, i cui esponenti terreni (il Consiglio Europeo di Stati ed il Consiglio Internazionale delle Chiese) ispirano e controllano i grandi moti politici o d'altro genere che segnano l'evoluzione del genere umano. Al sovrano non mancano i mezzi per eseguire la propria missione: quando lo desidera egli può infatti mettersi in comunione con il pensiero di tutti gli uomini che hanno influenza sul destino e la vita dell'umanità, come i Re, gli Zar, i Khan, i capi guerrieri, i sacerdoti e gli scienziati. Egli conosce tutti i loro pensieri e i loro disegni; se questi sono graditi a Dio li asseconda, altrimenti li fa fallire. In più, se la nostra folle umanità si mettesse a fargli guerra, scrive Ossendowski, i Templari Confederati dell'Agharti sarebbero in grado di fare esplodere tutta la superficie del globo e trasformarla in un deserto, o di prosciugare i mari e trasformare i continenti in oceani. Di rado il sovrano si mostra al di fuori del suo regno: le ultimi apparizioni pubbliche sono avvenute nel monastero di Narabanchi nel 1890 (a quell'anno risalgono una serie di profezie che anticipano, con una precisione sconcertante, gli sconvolgimenti politici iniziati un secolo dopo), nel 1923 in Siam e nel 1937 a Delhi. Comparirà davanti a tutti soltanto quando il tempo sarà venuto di condurre tutti gli uomini buoni contro i cattivi, ma il tempo non è ancora venuto. Infatti (e purtroppo) non sono ancora nati gli uomini più cattivi dell’umanità.

Realtà: Condizione di quanto è vero, materiale, esistente, concreto e reale. Modo d'essere delle cose che sono oggetto d'esperienza. Il carattere contraddittorio dell'esperienza fa nascere la distinzione tra apparenza (quanto a prima vista sembra R. per diventare irreale ad una verifica successiva) e R. Quest'ultima si può definire solo in rapporto alla globalità dell'esperienza individuale ed all'accordo tra le diverse esperienze. Y (Filosofia) Nella speculazione filosofica la R. è contrapposta ala possibilità, per indicare la presenza effettuale alle cose dello spirito. Mentre cioè l'oggetto reale agisce su altri oggetti e sullo stesso soggetto che lo percepisce, l'oggetto puramente possibile rimane passivo di fronte allo spirito, e non esercita alcuna influenza reale. Ma la R. si contrappone più propriamente all'idealità, al modo d'essere di ciò che può solo essere oggetto del pensiero. La distinzione tipicamente scolastica tra "esse in intellectu" ed "esse in re" sta a fondamento dell'argomento ontologico di Sant'Anselmo, che afferma la possibilità di passare dall'essere in quanto pensato all'essere reale. Il problema filosofico specifico cui ha dato luogo il concetto di R. è quello dell'esistenza del mondo esterno, che domina la problematica gnoseologica della filosofia moderna, da Cartesio a Kant. Per il primo, oggetto immediato di conoscenza sono solo le idee, così che nasce il problema del rapporto tra la R. oggettiva delle idee e la R. formale od attuale delle cose. Kant distingue invece la R. del fenomeno, che suppone un orientamento realistico della conoscenza, dalla R. delle cose in sé, puramente noumenica. Una problematica che la filosofia contemporanea tende a superare: se nell'età moderna il problema della R. tendeva a confondersi con quello dell'esistenza del mondo esterno, nelle tendenze attuali l'attenzione non è rivolta tanto all'esistenza quanto al modo d'essere specifico delle cose. È appunto ricorrendo ad un'analisi del modo d'essere specifico dello Esserci umano, come essere-nel-mondo, che Heidegger confuta come un falso problema quello dell'esistenza del mondo esterno, vedendovi fuggente un metodo astraente, che separa uomo e mondo, non riuscendo a ricostruirne l'intimo significato unitario. L'esistenza delle cose può essere esplicata solo in rapporto a quella dell'Esserci umano. Ben diversa risulta infine l'impostazione del neopositivismo, che pure conclude con una condanna del problema metafisico dell'esistenza del mondo esterno. Né la tesi dell'esistenza né quella della sua non esistenza hanno significato alcuno, in quanto nessuna delle due si presta ad una verifica sperimentale. Y (Massoneria) Il termine R. si presta ad interpretazioni ambigue. Si intende forse distinguere una R. esterna, maggiormente oggettivizzabile, da quella interna, che si presume possa rappresentare una R. troppo soggettiva. Probabilmente si confonde l'esistenza delle R. con il loro contenuto, non sempre definibile. Se invece si considera esclusivamente l'esistenza di un qualcosa di osservabile, allora si deve arrivare a non prenderne in considerazione il contenuto in senso assoluto. La valutazione diventa perciò responsabilità di chi osserva. Interessa invece portare all'attenzione del ricercatore l'importanza dell'evento, che mette in relazione le due diverse R., cioè quella esterna e quella interna.

Rebis: Termine alchemico coniato verso la fine del XVII secolo per indicare l'Androgino (v.), ovvero la congiunzione tra l'energia maschile e quella femminile. Designa anche l'Iniziato, liberato dalle passioni terrene. Il termine Re-bis indica la cosa doppia, contemporaneamente maschio e femmina. Il Mayer, nell'Atlanta fugiens), scrive che "Vecchie leggende ascrivono al R. un essere doppio, l'Androgino, maschio e femmina in un solo corpo. Egli è stato generato sul monte Ermafrodito (v.). Generato a Mercurio dalla sublime Venere. Non disprezzarlo per il suo sesso ambiguo. Quest'uomo donna un giorno ti genererà il re, cioè la Pietra Filosofale. Il Rimbaud sostiene che il R. non è una affatto mostruosità, essendo la sintesi statica delle componenti maschile e femminile, io ed un altro". Y (Massoneria) Robert Ambelain (v.), una grande figura di Massone studioso del mistero, quale appendice al una delle sue opere più apprezzate, ha scritto il "Saggio su una figura di Basilio Valentino: il REBIS". Questo è stato ripreso, riveduto e commentato molto egregiamente da un anonimo Massone, indubbiamente dotto cultore delle dottrine esoteriche, membro della R. L. Umanità e Progresso - Krishna N° 43, all'Oriente di Milano, che ne ha ricavati un paio di volumetti informalmente editi in Milano nel corso del corrente fine secolo. Vi si sostiene che il R. sia simbolo della morte alchemica, che racchiude in sé un'intera dottrina, e che può essere considerato un paradigma di tutta l'Arte Reale ermetica. L'Androgino alchemico (v. figura) viene rappresentato in piedi, appoggiato sul corpo del drago della natura, che a sua volta giace sul globo alato della materia prima. Compasso e squadra nelle mani dell'Androgino corrispondono al cielo ed alla terra, ovvero allo spirito ed alla materia, alla forza prima maschile ed a quella femminile. Sul lato maschile ed attivo si vedono Venere, Marte ed il Sole, su quello femminile e passivo Saturno, Giove e la Luna. Allo Zenit il Mercurio perfetto. Ad ogni aspetto attivo ne corrisponde uno passivo. Saturno regge un discendente passivo e Marte uno attivo, esprimendo il primo l'esaltazione dell'anima individuale, il secondo la vittoria dello spirito. Nella fase successiva Giove implica un dispiegarsi dell'attività psichica, mentre Venere corrisponde al sorgere del sole interiore. Luna e Sole rappresentano i due poli nella loro purezza, e Mercurio comprende l'essenza di entrambi. Meno arcani i significati dei simboli racchiusi nel globo alato (1), nella croce (2), nel triangolo (3) e nel quadrato (4), congiuntamente richiamanti la Tetraktys (10) pitagorica. La scritta "REBIS" è rovesciata, ad indicare che l'intera figura va vista come immagine speculare di quella reale. Occorre infine notare che l'intera complessità del simbolo è racchiusa in una cornice ovoidale. Alchemicamente l'Uovo filosofico è sinonimo di Athanor e di Forno. Con esso si indica quella sensazione di interiorità che si forma spazialmente al centro del petto dell'artista quando questi, rilassandosi e concentrandosi sulla propria interiorità, riesce ad isolarsi dalla sensazione del proprio corpo e dall'esistenza di un qualsiasi mondo esteriore. Si tratta di una condizione di isolamento in cui tutto è abolito, e si resta unicamente coscienti di quel dolce tepore interno (il Fuoco della natura) che ci deriva dalla sensazione provata da chi si è raccolto e congiunto con sé stesso. Non viene percepito come un'idea od un'astrazione, ma come qualcosa di concreto, per cui si arriva alla percezione di quel dolce calore quasi fisico, che ci avvolge, ci cova, ci nutre e ci culla, proprio come un pulcino. Benché si capisca che tale sensazione siamo noi stessi, ci sentiamo comunque distinti da essa, come quando ci si parla da soli. Si tratta di un qualcosa di indispensabile, poiché rappresenta la concentrazione che si trasforma poi in meditazione, nonché l'inizio, l'avvio del complesso processo che porta verso la perfezione.

Recipiendario: Nel linguaggio massonico indica il candidato che affronta le prove del rituale di Iniziazione. Si presenta alla cerimonia bendato, con il braccio ed il lato sinistro del petto scoperti, con la gamba destra nuda fino al ginocchio e con il piede sinistro scalzo, protetto solo da una ciabatta. Secondo alcuni studiosi, il petto sinistro scoperto (la regione del cuore) simboleggia l’assoluta sincerità con cui il R. affronta l’iniziazione; per altri è la dimostrazione della sua appartenenza al sesso maschile. Ginocchio nudo e piede scalzo consentono il contatto fisico con il sacro suolo del Tempio.

Regalità spirituale: Gli aspetti simbolici permettono di comprendere meglio il concetto di "regalità" in Massoneria. Infatti essa rimanda ad un’idea spirituale primordiale, del tutto diversa da quella prevalente nell’ambito profano, in quanto mai si identifica con il monarchismo storico o con la distinzione nobiliare. La regalità intesa in senso massonico è accessibile a quanti operino per conseguire la signorìa interiore, essendo quel riflesso della Gloria Divina che illumina l’aura di ogni soldato dell’Eterno, e coincide con l’integrità, la vittoria sugli istinti ribelli e la perfezione conseguibile con il dominio delle passioni. Tale regalità rappresenta l’elemento comune alle origini della Creazione ed al suo epilogo: è dunque la prefigurazione della condizione universale nell’eschaton, in cui tutti saranno re. La tradizione che ha più lucidamente esposto i caratteri della vera regalità è probabilmente quella zoroastiana, che la celebra nello Zamyad Yashr: "Noi celebriamo la tremenda Gloria regale, che tutto conquista, che opera in alto, che possiede salute, saggezza e felicità, che appartiene ad Ahura Mazda, poiché mediante essa Ahura Mazda fece le creature, molte e buone, molte e belle, molte e prospere, molte e splendenti. Affinché esse possano restaurare il mondo, che da allora non invecchierà né morirà, non declinando né marcendo, eternamente vivendo e crescendo. Allorché i morti risorgeranno, la vita e l’immortalità verranno, ed il mondo sarà restaurato ". In conclusione si può affermare che la regalità spirituale, scopo e fondamento della Creazione, si accoppia inscindibilmente alla Verità (v.).

Regime Scozzese Rettificato: È essenzialmente un Rito Massonico impregnato di esoterismo cristiano, marchiato dalla profonda spiritualità che ha contraddistinto il suo fondatore, il famoso massone lionese J.B. Willermoz (v.). Il concetto di Rettifica non è affatto riferito al Rito Scozzese Antico ed Accettato (v.), con il quale non ha mai avuto alcunché in comune, ed essendo anzi sorto prima di questo. Infatti prese corpo nel corso del Convento delle Gallie, tenutosi a Lione nel 1778, nel corso del quale venne redatto il "Code Maconique des Loges Réunies et Rectifiées de France", riprendendo l’istanza cavalleresca dai residui ideologici dell’ormai morente Ordine della Stretta Osservanza (v.). In origine il sistema comprendeva anche i tre gradi azzurri dell’Ordine Massonico, ai quali sovrapponeva quelli di Maestro Scozzese di Sant’Andrea (ancora considerato grado di Loggia, essendo complementare a quello di Maestro), di Scudiere Novizio (Grado di educazione al servizio) e di Cavaliere Benefico della Città Santa (una sorta di ricompensa per le opere di bene compiute dal Fratello Rettificato). Gli ultimi due gradi costituiscono tuttora l’Ordine interno del sistema. La fiorente attività del R.S.R. fu interrotta dal turbinìo degli eventi provocati dalla Rivoluzione Francese, ma anche dai mutevoli atteggiamenti di alcuni sovrani nei confronti della Massoneria, nonché dalla progressiva autonomizzazione dei locali sistemi massonico-cavallereschi. Ad eccezione di un effimero tentativo di ripresa nella Francia napoleonica, il R.S.R. iniziò a declinare fino a spegnersi dovunque, eccetto che in Svizzera. Fu qui che nel 1804 il Gran Priorato Indipendente d’Helvetia si riaffacciò alla ribalta con rinnovato zelo, tanto da farsi carico, nel 1828, del governo della Burgundia, una delle province dei Cavalieri Benefici della Città Santa, già ubicata in Besancon., e successivamente della rappresentanza generale del Regime. In tale veste il Rettificato elvetico promosse a più riprese la rinascita del sistema nelle terre d’elezione, come la Francia, dove nel 1935 prese definitivamente corpo. Negli Stati Uniti un Gran Priorato autonomo fu costituito su patente elvetica nel 1934. In Italia è recente (1987) l’attivazione della Prefettura (sottodivisione della Provincia) dell’Etruria, operante su patente francese. In realtà la storia del R.S.R. in Italia risale a molto prima, tant’è che il Roberti sostiene che "è il Rito più antico presente in Italia, se si pensa che furono personaggi come il conte Joseph de Maistre, il dott. Sebastiano Giraud, il conte Filippo Asinari di Bernezzo, il principe Diego Naselli d’Aragona ed il principe Raimondo di Sangro che fondarono in Italia il R.S.R. nel lontano 1779". Dal 1985 il R.S.R. in Italia ha ripreso forza e vigore, giacché il Gran Priorato delle Gallie, legittimo detentore del lignaggio della Massoneria Rettificata in Francia, in rapporti di reciprocità con la Gran Loggia Nazionale Francese, ha fondato a Cortona, Siena e Perugia tre Logge di Maestro Scozzese di Sant’Andrea.

Regola benedettina:  Redatta nella prima metà del VI secolo da San Benedetto da Norcia in latino popolare, è composta da un prologo, 72 capitoli ed un breve epilogo, si ispira a precedenti regole religiose, in particolare alla regola di San Basilio, senza mai indulgere a forme di ascetismo troppo severo. Essa tende a procurare la gloria di Dio sulla terra attraverso la santificazione del monaco, che si compie attuando la disciplina interna, l'abnegazione e l'obbedienza. Il convento è una famiglia in cui l'abate è il padre, ed i cui membri sono uniti dagli stretti vincoli del rispetto che i giovani devono agli anziani e dell'affetto che gli anziani concedono ai giovani. Il «cenobio» forma una comunità autonoma ed autosufficiente, i cui membri non possiedono nulla in proprio, sono separati dal mondo attraverso la clausura, ma conservano con esso il legame dell'ospitalità verso tutti. I monaci sono tenuti a cantare in comune le lodi di Dio in date ore del giorno e della notte, sono obbligati alla lettura ed al lavoro manuale (ora et labora), si impegnano con il voto di stabilità a non lasciare mai il monastero, devono obbedire interamente all'abate, eletto da loro stessi e che interpreta per loro le minuziose prescrizioni della regola. L'abate è coadiuvato da altri superiori (priore, cellerario, decani) i quali dipendono da lui, ed insieme dal consiglio degli anziani. L'istituzione del monachismo (v.) benedettino risale alla fondazione dell'abbazia di Montecassino da parte di San Benedetto, ed alla prima redazione della R. (529). Nonostante la distruzione dell'abbazia (detta l'Arce) da parte dei Longobardi poco dopo la morte del fondatore, la R. si propagò rapidamente. San Gregorio Magno inviò missionari in Inghilterra ed in Germania che ne diffusero la conoscenza. Dapprima combinata con la regola di San Colombano o con altre ancora, finì per sostituirle tutte integralmente. Le grandi tappe di questo successo sono rappresentate dal sinodo di Lestines (743) e dal celebre capitolare emanato ad Aquisgrana (817) da San Benedetto d'Aniane che, con la collaborazione di Ludovico il Pio, codificava le norme comuni monastiche per l'intero Impero.

Regola di San Francesco: Introdotta tra i frati poverelli dallo stesso fondatore dell’Ordine di Assisi, fu approvata verbalmente da papa Innocenzo III nel 1210, e confermata formalmente da papa Onorio III nel 1223. Si ispira alla semplicità evangelica, ed è basata sui tre voti della povertà, della castità e dell’obbedienza. Alla morte di San Francesco (1226), i suoi seguaci erano già differenziati in tre Ordini diversi: il primo riservato agli uomini (detti frati minori francescani, v.), fondato nel 1209 nella chiesa della Porziuncola (Santa Maria degli Angeli); il secondo per le donne, fondato da Santa Chiara nel 1224; il terzo fondato dal Santo stesso nel 1221, riservato ai laici che non pronunciavano i voti, pur obbedendo alle regole di penitenza. La R. recita testualmente: "La regola di vita dei frati minori è questa, cioè osservare il Santo Vangelo del nostro Signore Gesù Cristo, vivendo in ubbidienza, senza beni propri, ed in castità. Frate Francesco promette ubbidienza e riverenza al Signore Papa Onorio (III) ed ai suoi successori canonicamente eletti, ed alla Chiesa Romana. E gli altri frati siano tenuti ad ubbidire a frate Francesco ed ai suoi successori". Nella sua opera La Chiesa ed il mondo, Ediz. Faro, 1984, il Salvatorelli riferisce che: "Al famoso Capitolo delle stuoie del 1221 si riunirono intorno a frate Francesco, alla Porziuncola, migliaia di frati, tanto sviluppo aveva preso l’Ordine in soli dieci anni. Tutti devoti al Santo, ma non tutti d’accordo con lui come Generale dell’Ordine. Vi era già un buon numero di frati dotti, che avrebbero voluto che Francesco non governasse l’Ordine da solo, ma sentisse il consiglio dei più colti. A confortare le loro richieste citavano l’esempio di Ordini più antichi, ed i precetti di San Benedetto, di Sant’Agostino e di San Bernardo. Frate Francesco rispose con santa veemenza: "Non mi venite a parlare di regole di Sant’Agostino, di San Benedetto, di San Bernardo e di nessun altro; per me l’unica R. è la forma di vita che Dio, nella sua misericordia, mi ha mostrato e donato. Dio mi disse che voleva che io fossi come un pazzo di nuovo genere per il mondo, e non volle per noi altra scienza che questa pazzia. Dio confonda la vostra scienza e la vostra sapienza"". Quell’invettiva, profferita con tono da profeta ispirato, aveva ridotto tutti al silenzio.

Regola religiosa: Viene così definito l’insieme dei principi e delle prescrizioni, indispensabili od opportune, che regolano la vita degli appartenenti ad un ordine o ad una congregazione religiosa. Costituisce l’elemento essenziale di discriminazione fra ordini religiosi e clero, e spesso è accompagnata dalle costituzioni che ne spiegano le modalità di applicazione. La R. derivata originariamente dagli exempla contenuti nelle Vite dei Padri del deserto, risale al fondatore dell’ordine. Le sue successive rielaborazioni ed interpretazioni stanno alla base della genesi di ordini religiosi collaterali od anche autonomi rispetto a quello originale. Le principali regole del mondo cristiano sono quelle di San Basilio, di Sant’Agostino, di San Benedetto e di San Francesco d’Assisi (v.).

Regolarità: La Libera Muratoria è considerata un'istituzione universale. Questa espressione non dev'essere fraintesa dal neofita, poiché purtroppo la Massoneria non è sempre la stessa in ogni parte del mondo. Il termine "Universalità", così com’é usato in Massoneria, non significa affatto che la Fratellanza sia sparsa sull’intera superficie del pianeta. Vuol invece dire che i principi massonici sono universali nella loro applicazione. La Massoneria é certo molto diffusa nel mondo, ma non tutte le obbedienze sono da considerarsi genuine, legittime e regolari. Una così splendida società trova inevitabilmente imitatori sparsi un pò ovunque, e quelle così create non possono che essere considerate organizzazioni spurie o clandestine, anche se esse si dichiarano massoniche e praticano gli stessi rituali e cerimoniali dei veri e legittimi Liberi Muratori. In varie nazioni esistono massonerie non riconosciute. La regolarità di un'obbedienza implica il pieno ed assoluto rispetto degli Antichi Doveri compresi nella Costituzione di Anderson del 1723. Questo, tra l’altro, implica il rispetto del principio per cui una Massoneria regolare sia un’istituzione iniziatica di tradizione solare, che pertanto può iniziare soltanto uomini (v. Massoneria e donna). Inoltre vi sono alcuni elementi fondamentali che rendono legittima una Massoneria, e sono riportati alla voce Legittimità (v.).. In quasi tutti i paesi del mondo civilizzato e democratico esistono oggi massonerie regolari, che un viaggiatore può contattare con l’implicazione di quelle cortesie massoniche cui ogni Libero Muratore ha diritto. In Italia è generalmente considerata irregolare la Massoneria della Gran Loggia d’Italia di Palazzo Vitelleschi (v.), che ammette l’iniziazione nelle proprie Logge delle donne. Per la stessa ragione viene considerato irregolare il Grande Oriente di Francia (v.).

Regolo: Strumento muratorio attivo, riferito allo Spirito. Con la Squadra consente di tracciare figure rettilinee, mentre l'unione con il Compasso permette la costruzione di molte figure geometriche. La sua suddivisione in 24 parti di un pollice ciascuna richiama alla mente quella del giorno in 24 ore, ognuna delle quali dev'essere destinata a scopi precisi, ben determinati. Tale spazio di tempo deve infatti essere ripartito e consacrato all'osservanza dei doveri umani e massonici, per l'adempimento dei singoli obblighi sociali e spirituali, per l'esecuzione del lavoro professionale, per coltivare e ricreare la mente e per infine dedicare il tempo restante al necessario riposo. Secondo il Ragon il R. simboleggia la perfezione insita nella regola, senza la quale prevarrebbe il Caos, espresso dalla confusione delle attività umane, dalle arti disordinate, dalle scienze fondate su sistemi incoerenti, dalla logica capricciosa e vagabonda, dalla legislazione arbitraria ed oppressiva, dalla musica discordante e dalla filosofia confusa in un'oscura metafisica. È l'attributo del Fratello Esperto della Loggia, e rappresenta lo strumento più importante nel Lavoro del Compagno d'Arte.

Reiki: Viene comunemente definita "energia universale", nonché arte di guarigione naturale. "Rei" è l'essenza pura ed immacolata, immanente e trascendente, dell'essere vivente, mentre "Ki" è l'energia indifferenziata che scorre nel corpo. Attraverso il R. i ritmi vibratori del corpo fisico, astrale ed eterico, si accordano a livelli di vibrazione più elevati. Ci si sente più vivi, più energici, più aperti, consentendo così all'energia vitale di prevalere sulla malattia. Viene trasmesso dall'operatore attraverso l'appoggio delle mani su alcuni punti precisi del corpo del paziente (viso, torace, ventre) ed esercitando leggere pressioni. Il paziente percepisce un lieve, piacevole ed intenso calore, che sblocca le tensioni, incanalando poi l'energia nell'organismo, ed avviando un processo di benessere mentale e fisico. Lo si apprende nei corsi appositi, ove un Maestro trasmette le conoscenze necessarie per la pratica del R. in due diversi livelli, detti di attivazione. Il 1° rende ricettivo il corpo fisico attraverso l'apertura dei sette Chakra (v.), onde accogliere e far circolare l'energia vitale; vi si svolgono esercizi di sensibilizzazione delle mani, di rilassamento, di respirazione pranayama, di autotrattamento, di trattamento completo (del dott. Usui), cui seguono i 21 giorni di purificazione R.. Il 2° livello aumenta la frequenza vibratoria dell'energia, che agisce così anche a livello emozionale e mentale. Vengono insegnati alcuni simboli (sutra) che consentono l'irradiazione energetica a distanza. Un 3° livello finale di attivazione trasforma il discepolo in Maestro, in grado di trasmettere la conoscenza del R. ad altri, e di sfruttare determinate antiche tecniche tibetane, aiutando ancora maggiormente il prossimo. La pranoterapia (v.) si differenzia dal R. in quanto, pur implicando ancora l'applicazione delle mani per irrorare energia al paziente, il prana viene emanato direttamente dal terapista, senza canalizzazione preliminare dall'universo. Gli effetti sarebbero simili, ma con la pranoterapia parrebbero più duraturi

Reincarnazione: Passaggio di un'anima da un corpo all'altro, attraverso diversi cicli esistenziali. Il concetto di R. è diffuso, in varie forme ed attribuzioni, presso i popoli primitivi, come tra le popolazioni agricole del Sudan, dove ritengono che i morti si reincarnino in membri del proprio gruppo etnico. Erodoto accennò vagamente alle credenze nella R. presso gli antichi Egizi. I movimenti orfici sottolinearono il valore della R. come mezzo di espiazione dell'anima, decaduta ed imprigionata nel corpo, per riacquistare la purezza originaria e la perfezione dell'esistenza divina immateriale. Alla teoria orfica (v.) si richiamarono alcuni filosofi tra cui Empedocle, Pitagora e soprattutto Platone, che la utilizzò per dimostrare l'immortalità dell'anima. Anche nella letteratura greca ci sono riferimenti all'idea della R., specie con Pindaro che, nel frammento 133, riferisce come Persefone, avuta soddisfazione dai Titani uccisori di suo figlio Dioniso-Zagreo, fece ritornare sulla terra le anime di uomini destinati a diventare re, eroi o grandi saggi. In India i primi accenni alla R., sconosciuta nei Veda, sono nella letteratura brahmanica, dove si parla della necessità di compiere sacrifici per evitare il dolore della rinascita. Nelle Upanisad si afferma che la rinascita ed il destino di ogni essere umano di pendono dal karman, cioè dal frutto delle sue azioni nella vita precedente. Il problema della liberazione dell'anima dalla catena infinita delle successive esistenze è fondamentale nelle religioni indiane. Il Buddhismo indica nella non-conoscenza e nel non-desiderio la via della salvezza che conduce al Nirvana (v.). In tempi più recenti soprattutto i cultori della teosofia e dello spiritismo hanno riproposto le antiche dottrine della R. come ritorno periodico delle anime sulla terra. La chiesa cattolica, sulla base della dottrina tomista, secondo cui ogni anima ha un rapporto esclusivo con il proprio corpo, ha condannato ogni forma di credenza nella R. Essa rappresenta un fenomeno che sta sempre più attirando l'interesse dell'occidente. Al contempo vi risulta sempre più diffusa la credenza nella "causalità", con conseguente abbandono della "casualità", il che comporta l'adozione graduale del concetto karmatico, dal termine "Karma", di cui è ormai sufficientemente noto il significato, ma che è comunque preferibile chiarire. Karma deriva da "Karman", che in sanscrito significa "atto". Secondo il pensiero religioso indù, buddista e jaina, esso rappresenta l'insieme delle azioni, buone e cattive, compiute dall'individuo nel corso della sua esistenza. Ciascuna azione produce un frutto (phala), o conseguenza, che costringe lo spirito (åtman), ad emigrare di esistenza in esistenza, fino all'estinzione del Karma stesso. Tale trasmigrazione di corpo fisico in corpo fisico, viene da noi definita "reincarnazione". Essa implica che, alla morte del corpo, lo spirito (immortale) si separa, se ne distacca, per poi rientrare in un altro corpo, dopo un certo tempo. La R. comporta la possibilità di rinascita in corpi fisici di natura prevalentemente umana. Ben diversa caratteristica riveste invece la "metempsicosi", fulcro delle dottrine teosofiche, che ammette il passaggio dello spirito di corpo in corpo, intendendo per corpo l'intera natura, ovvero minerali, vegetali, animali e uomo. Si tratta di una credenza antichissima, tipica dell'Egitto faraonico, dell'India, dell'Orfismo (Pitagora, Empedocle), purificata da Platone (v.) per collegamento alla teoria delle idee e dei rapporti tra corpo corruttibile e Verità eterne. La chiesa Gnostica la fece propria, aggiungendo al tradizionale significato morale ed espiatorio quello conoscitivo. Indubbia la validità di questa dottrina ma, restando nel tema, si può affermare che la nostra cultura, le nostre religioni, gli stessi dogmi che le caratterizzano, sembrano negare in assoluto la possibilità che l'uomo possa essere soggetto alla ruota morte-rinascita. Eppure è una caratteristica dell'intera natura. Non c'è vegetale che non si rigeneri da un seme, macerato dapprima nel grembo della terra, per poi rinascere e dare origine ad una nuova pianta. Non c'è animale che sfugga allo stesso ciclo, così come non c'è bruco che non rinasca farfalla. L'essere umano non può costituire un'eccezione a tale comune, perfetta regola naturale. La riconosciuta levatura degli innumerevoli personaggi che si sono occupati di questo tema nel corso dei secoli, può perlomeno giustificare l'interesse, lo studio e la discussione dell’argomento. Un ricco e sapiente volume, edito nel 1961 da Joseph Head e S.L. Cranston, elenca innumerevoli citazioni di grandi personalità sul tema della reincarnazione. Significative quelle comprese nella sua prefazione, tra cui "Se l'immortalità non fosse una cosa vera, poco importerebbe della verità di tutto il resto", nonché un discorso significativo e di chiara logica che si ritiene opportuno riportare integralmente: "Vivere è considerato all'unanimità un viaggio lungo una strada impervia. E una strada impervia che porta in nessun posto, vale la pena di un viaggio? Un mero vivere: che fatica senza senso; ed un mero vivere doloroso: che assurdo! Allora non esiste nulla in cui sperare, nulla da attendere e nulla da fare, salvo che aspettare il proprio turno di salire il patibolo e dire addio a questo colossale sbaglio: il mondo pieno di rumore per nulla. Pensateci, pensateci anche un solo momento. Proclamate agli uomini che la "Morte" è la sola immortale, e non sarà facile consolarli dello spreco di tanto coraggio, di tanta sopportazione, di tanta fede, di tanto affetto, di tanta dolcezza gettati nel vuoto, se rievocano i cuori fedeli, i volti amici, le intelligenze vigorose per sempre scomparsi. Al di là di tutto questo incombe forse quel pensiero che la morte sembra proclamare, il pensiero della frustrazione e di una fondamentale inanità nel cuore delle cose, la radice stessa della disperazione del pessimista. Rassicurateli invece che non è così, e la scena cambia. L'orizzonte si schiarisce, la porta si schiude a possibilità insospettate, le cose cominciano ad includersi in un disegno comprensibile. Se voi non trovate qui, fra uomini che pensano, anche se riluttanti ad ammettere il convincimento che nasce dal loro meditare ... il perno della situazione umana, la domanda tesa a quella risposta intorno a cui tutto volge, non so dove andare a cercare. Immortalità è un termine che garantisce la stabilità, il permanere di quella qualità unica e preziosa che noi scopriamo nell'anima, qualità che, una volta perduta, toglie ogni valore ad ogni cosa al mondo". All'autore, W. Macneile Dixon, nel corso della conferenza in cui nel lontano 1936 aveva tenuto il discorso succitato, fu chiesto: "Quale tipo di immortalità potremmo concepire?". La risposta fu: "Fra tutte le dottrine di una vita futura, la palingenesi o rinascita, dalla quale scaturisce l'idea di preesistenza, è di gran lunga la più antica e la più diffusa, l'unico sistema cui la filosofia può dare ragionevolmente ascolto". Diviene arduo a questo punto sforzarsi di continuare a considerare la R. come pura utopia sentimentale. Un professore universitario piuttosto famoso, naturalista e pragmatico, si era dedicato a spiegare il comportamento umano in termini di condizioni ambientali. Al termine del ciclo di lezioni tenute su questo argomento, confessò la propria confusione. Quanto gli sarebbe piaciuto credere in quello che aveva detto ai suoi allievi. Ma non poteva scacciare il pensiero che ciascun uomo pare nascere con qualcosa, che né l'eredità né l'ambiente possono spiegare: come il fatto che tra i figli d'una stessa famiglia esistano contrasti caratteriali essenziali, che non possono che colpire, e che non hanno spiegazioni etiche od ereditarie. Platonici, e soprattutto neoplatonici, si sforzarono di spiegare le differenze fra varie unicità, arrivando a fondere i tre termini eredità, ambiente ed anima, una fusione adatta ad esprimere ogni cosa. Qui la filosofia della preesistenza, coinvolgente ulteriormente successive rinascite della medesima individualità essenziale, si fa particolarmente stimolante. Lo studio del buddismo Zen porta a significati vitali, validi per ogni studioso di psicoanalisi. Conduce infatti l'uomo a trovare una risposta al problema della sua esistenza, una risposta fondamentalmente identica a quella reperibile nella tradizione giudaico-cristiana, pur tuttavia non in contraddizione con razionalità, realismo ed indipendenza, che sono le eredità preziose conseguite dall'uomo moderno. Paradossalmente parrebbe proprio che la religiosità orientale si riveli più congeniale al pensiero occidentale della stessa religiosità occidentale. Abbiamo già visto come diversi possano essere i termini usati nel tempo per definire il fenomeno: rinascita, trasmigrazione, reincarnazione, palingenesi e metempsicosi. Pur sottilmente differenziandosi tra loro, assumendo ciascuno un significato distinto, definiscono sempre la stessa cosa, l'identico principio. Opportuna la citazione di quanto sostenuto da Ian Stevenson, rettore della facoltà di psichiatria dell'università della Virginia, che nel 1959, trattando "La prova della sopravvivenza da insistiti ricordi di precedenti incarnazioni", sosteneva: "L'autore di una rassegna di questo genere ha il privilegio, e forse l'obbligo, di dire come ne interpreti personalmente i dati. Pertanto affermo che l'ipotesi per me più plausibile a spiegare i casi esaminati sia la R. Questo non significa certo che io li ritenga prove della reincarnazione. Non lo sono affatto. Ma se esamino altre ipotesi, scopro obiezioni o carenze tali da rendermele inadatte a spiegare tutti i casi esaminati, anche se sono utili per alcuni. La serie di prove considerate non garantisce alcuna definitiva conclusione sulla reincarnazione; tuttavia giustifica uno studio di questa ipotesi molto più esteso ed aperto di quanto non sia avvenuto finora in occidente. Ulteriori ricerche nel campo dei ricordi apparenti di incarnazioni anteriori varranno molto probabilmente a consolidare la reincarnazione come la spiegazione più plausibile di queste esperienze. Per questa via giungeremo forse ad ottenere prove più convincenti di una sopravvivenza degli uomini alla morte fisica. Nelle comunicazioni cosiddette medianiche, il problema sta nel provare che una persona palesemente morta continui a vivere. Nel valutare i ricordi apparenti di precedenti incarnazioni, il problema consiste nel giudicare se una persona palesemente viva, un tempo morì. Questo può rivelarsi il compito più facile e, se perseguito con sufficiente zelo e con risultati attendibili, può contribuire decisamente a chiarire il problema della sopravvivenza". Al riguardo occorre valutare attentamente alcuni pensieri trasmessi da Sant'Agostino, probabilmente il più celebre fra i cosiddetti Dottori della Chiesa: "Il messaggio di Platone, il più puro, il più luminoso di tutta la filosofia, ha finalmente dissipato le tenebre dell'errore, ed ora traspare soprattutto attraverso Plotino, platonico tanto simile al suo maestro da far credere che abbiano vissuto l'uno insieme all'altro, o meglio, dato che così lungo periodo di tempo li separa, che Platone sia rinato nella persona di Plotino" (Da Contra Academicos). Ed ancora: "Dimmi, o Signore, dimmi se la mia infanzia successe ad altra mia età morta prima di essa. Forse era quella l'età che io trascorsi nel grembo di mia madre ... e prima ancora di quella vita, o Dio, mia gioia, fui io, forse, in qualche luogo, od in qualche corpo? Non ho nessuno che possa narrarmi di questo, né padre, né madre, né esperienza d'altri, né la mia memoria". (Da Le confessioni). Inoltre, ecco ancora la citazione di un brano significativo, tratto da un'epistola indirizzata da Sant'Agostino a Demetriade, su cui vale davvero la pena di riflettere a fondo. Vi si sostiene: "Fin dai tempi antichi, la dottrina della trasmigrazione è oggetto di insegnamenti segreti ad esigui gruppi di persone, in quanto Verità tradizionale da non divulgarsi". Purtroppo il quinto Concilio Ecumenico, manovrato dall'imperatore Giustiniano e contro la volontà dello stesso papa Vigilio (553 d.C.), ha decretato, oltre a ben quindici diversi anatemi antiorigeniani {v. Origene}, la totale esclusione dalla dottrina cristiana del concetto di preesistenza dell'anima e quindi, naturalmente, della R. Al suo posto venne invece introdotto un nuovo dogma, quello riguardante la resurrezione della carne, tuttora valido ed ipersfruttato, a dispetto di ogni logica considerazione del suo principio, che è qui sinteticamente enunciato: "Il giorno del giudizio, al suono delle trombe celesti, ogni uomo resuscita dalle proprie ceneri, riacquistando le sue originali sembianze, le sue caratteristiche psicofisiche, per un tempo senza fine". Non occorre ricorrere a speculazioni filosofiche per respingere tale ipotesi, estremamente superficiale ed poco teologica, essendo sufficiente il buon senso. Ci sarebbe da credere che il risorto abbandoni ogni vizio o difetto adottando esclusivamente virtù, senza peraltro mutare la propria personalità. Per quanto riguarda il corpo e le caratteristiche fisiche, pur trascurando bellezza o bruttezza che possono essere considerate semplici opinioni, indubbiamente certi difetti somatici, quali gibbosità o simili, sono caratteristiche fisiche dell'individuo. Rimarrebbero forse per sempre? Non resta che sperare in un corpo fisico risorto in copia riveduta e corretta rispetto alle originali sembianze mortali. Oppure auspicare che ogni tipo di difetto sia escluso dai parametri dell’individuo ricostruito. Lo stesso sesso può dare adito a perplessità ben pertinenti. Sarebbe un destino ben misero davvero, poiché tali caratteristiche condizionano, e quindi limitano, anche il più comune essere umano, in quanto ragionante. Un destino antitetico alla naturale tendenza al miglioramento, alla conoscenza, già in questo mondo, e quindi ancor più in un regno celeste che non conosca fine. Infine risulta proibitivo pensare ad una connivenza psicofisica in un ritrovato Paradiso Terrestre dell'uomo primordiale delle caverne con l'uomo moderno ed ancor più con quello del futuro. Che dire del fatto che solo recentemente la Chiesa ha abrogato il suo veto alla cremazione, la più antica e civile delle sepolture adottate dall'uomo, per secoli punita con la scomunica poiché implicante la totale distruzione del corpo fisico. Forse che l'Essere Perfetto ed Onnipotente incontrerebbe umane difficoltà nel ricomporre integralmente un corpo incenerito. Sempre ammesso e non concesso che costituisca Verità la cosiddetta resurrezione della carne. Rimediare oggi sarebbe, per la Chiesa di Roma, un colpo micidiale a quel Potere temporale cui pare proprio non intenda rinunciare, un potere basato prevalentemente sul "ricatto", imponendo l'alternativa "o credi in me o ti attende la pena eterna dell'Inferno". Opportuno ripetere quanto tale atteggiamento sia in netta contraddizione con la Spiritualità, su cui peraltro la Chiesa insiste a vantare diritti esclusivi di rappresentanza, nonostante le recenti ma troppo diplomatiche proclamazioni ecumeniche. Se fosse soltanto prudenza, che dire dei secoli di ritardo con cui il Vaticano ha recentemente deciso di annullare un assurdo decreto di scomunica, graziando il povero Galileo Galilei per le sue incaute tesi sul sistema solare. Viene da pensare che Dante Alighieri non sarebbe certo sfuggito al rogo, se non avesse celato per gli intelletti sani ... la dottrina che s'asconde sotto 'l velame de li versi strani. Questo perché la sua Commedia non evidenzia certo quanto il suo autore pensava e sapeva (chi sa davvero leggere tra i suoi versi non ha dubbi al riguardo) sulle tre dimensioni, trasformate nei tre pseudo-regni dell'oltretomba.