Le cose accadono ma nessuno se ne rende più conto. Siamo attorniati da storie sulle quali ci sarebbe da scrivere fior di “pochades”, eppure tutto passa ormai inosservato, come se fosse normale.
(...) Seconda storia, quella del “Codice da Vinci”. È noto a chiunque abbia mai messo piede in qualche libreria di scienze occulte che Dan Brown non ha inventato nulla, salvo la vicenda poliziesca di contorno: ovvero, tutte le cose che lui presenta come rivelazioni storiche le ha riprese da una miriade di libri che circolano da decenni sul mistero di Rennes-le-Château, sul Priorato di Sion, sul Graal, su Gesù e la Maddalena, eccetera. Non dico affatto che le abbia copiate, così come non si accuserebbe di plagio chi riraccontasse la storia di Cappuccetto Rosso: ha usato un materiale ormai di dominio pubblico, tanto era stato fritto e rifritto in tutte le salse — perché la tendenza dei consumatori d’occulto è sempre stata quella di ritenere vero quello che hanno già udito, e quindi più il materiale che viene loro offerto è ripetitivo più ci godono.
È altrettanto noto, anche a chi non abbia mai visitato librerie di scienze occulte, ma abbia dato un’occhiata alla lista dei best-seller, che nel 1982 era apparso “The Holy Blood and the Holy Grail” di Baigent, Leigh e Lincoln (tradotto da Mondadori come “Il santo Graal”). In questo libro si riprendono apertamente tutte le dicerie sul mistero di Rennes-le-Château, e si enunciano tutti quei “segreti” storici che costituiscono l'ossatura del “Codice da Vinci”, che Gesù non è stato crocefisso, che ha sposato la Maddalena, che ha fondato in Francia la dinastia dei Merovingi, che la sua eredità mistica e forse genetica stirpe è stata continuata dal Priorato di Sion, eccetera eccetera. Ora, la prefazione del “Santo Graal” presenta tutto il contenuto del libro come verità storica, e neppure tenta di dire che questa verità storica è frutto di esclusive scoperte degli autori, perché ammette tutti loro debiti con alcune opere precedenti che (a loro dire) avrebbero già contenuto i germi di quella verità, ma non erano state prese in sufficiente considerazione — affermazione falsa quant’altro mai perché, ripeto, quel tipo di letteratura circolava da decenni, come avrebbe detto Manzoni, su tutti i muriccioli, e presso gli appassionati vendeva come panini.
Se qualcuno stabilisce la verità di un fatto storico (che Napoleone è morto a Sant’Elena, che i Mille si sono imbarcati a Quarto su due navi dell’armatore Rubattino, che Mussolini è stato arrestato da Bill e Pedro), dal momento che la verità storica viene resa pubblica diventa di proprietà collettiva, e io non posso essere accusato di aver copiato una bella invenzione altrui se scrivo un romanzo storico in cui i Mille si imbarcano a Quarto sulle navi di Rubattino. E invece cosa hanno fatto Baigent, Leigh e Lincoln? Stanno dando causa a Brown per plagio. Ovvero stanno ammettendo pubblicamente che tutto quello che hanno raccontato era frutto di fantasia. È vero che per allungare le mani su parte del malloppo miliardario di Brown uno è anche disposto a mettere in carta bollata che non è figlio del proprio padre legittimo bensì di qualcuno delle decine di marinai che frequentavano abitualmente la sua signora Mamma, e Baigent, Leigh e Lincoln hanno tutta la mia sentita comprensione. Ma quello che non cessa di sconvolgermi è che la gente che legge di queste cose (e apprende che Brown ha preso le sue notizie “storiche” da qualcuno che ammette pubblicamente di aver raccontato fandonie), continui ad andare a visitare chiese e musei di tutto il mondo per cercare le tracce della “vera” storia di Gesù e della Maddalena.
Alla fine, l’unico vero trionfatore è stato il giudice, Mr Justice Peter Smith.
Il magistrato ha concluso un processo durato meno di sei settimane stabilendo che “Il Codice da Vinci” di Dan Brown non ha violato la legge sul copyright e non si è appropriato dell’architettura di “The Holy Blood and the Holy Grail”: un saggio «storico» pubblicato più di vent’anni fa, in cui gli autori Michael Baigent e Richard Leigh sostenevano la tesi che Gesù sposò Maria Maddalena ed ebbe dei figli la cui linea di sangue si è tramandata fino ai giorni nostri in Francia, protetta dai Templari e altre sette. Un’idea che si trova anche nel bestseller di Dan Brown.
Ma uno scrittore può usare l’idea di un libro storico per un romanzo? O così facendo diventa spregevole copiatore? Il giudice Peter Smith, baffoni neri e sguardo a volte beffardo sotto la parrucca bianca, ha assolto Random House (editore di Dan Brown, 40 milioni di copie vendute in 33 Paesi) e salvato il futuro di schiere di romanzieri. Il tutto in una sentenza di 71 pagine che sembra l’opera di un Re Salomone con qualità di critico letterario. Fin dal primo capoverso: «Per fortuna non è parte del mio giudizio valutare il valore letterario dei libri e nemmeno la verità che c’è dietro... Suppongo che nel mondo dell’editoria 40 milioni di acquirenti non possano avere torto». Il querelante Baigent è stato liquidato con biasimo: «Non è compito mio dire se sia disonesto o sciocco, ma certo le sue pretese sono inaffidabili». Ma il magistrato ha criticato Dan Brown per non aver fatto testimoniare la moglie Blythe, che ha fatto tutte le ricerche per il Codice da Vinci e aveva sicuramente letto a fondo The Holy Blood and The Holy Grail.
Durante il dibattimento Brown ha convinto poco o niente mentre sosteneva di aver guardato il lavoro dei due «storici» solo quando aveva ormai tracciato l’intelaiatura del suo. E quando sul banco delle prove è comparsa la sua copia di “Santo Sangue e Santo Graal”, Brown non ha trovato niente di più originale che attribuire le sottolineature e note a margine delle pagine alla moglie. «L’assenza della signora in questa corte è spiegabile solo col fatto che non avrebbe sostenuto la tesi del marito», ha affermato Mr Justice.
Comunque Il Codice da Vinci «non è una scopiazzatura». E questo conta. Dan Brown ha fatto sapere dal suo eremo di essere molto soddisfatto di poter tornare a lavorare a tempo pieno al suo nuovo romanzo. In questa causa abbiamo appreso come ami scrivere al mattino presto, prima dell’alba, e interrompa l’opera di tanto in tanto per fare flessioni. La riedizione del “Codice” negli USA ha venduto in un paio di settimane 500 mila copie e l’editore ne sta facendo stampare 6 milioni, pensando anche alla pubblicità che porterà il film con Tom Hanks in uscita a maggio.
Dal punto di vista editoriale non è andata male neanche ai due querelanti: il loro vecchio libro pseudo-storico ha scalato le classifiche; un balzo del 350 per cento nelle vendite, 7 mila copie a settimana in Gran Bretagna. Michael Baigent sta per pubblicare negli Stati Uniti “The Jesus paper”. Se qualcuno vuol sapere che Gesù non è morto sulla croce perché con il consenso di Pilato fu sostituito all’ultimo momento da un povero disgraziato, può ordinare il volume da Harper di San Francisco. Ma la coppia Baigent-Leigh dovrà anche tirar fuori un milione di sterline per pagare il conto degli avvocati di Random House. E Mr Justice-Salomone anche qui si è divertito con la sentenza: sconto del 25 per cento perché «ci sono stati punti deboli nelle prove prodotte dal signor Dan Brown».
Esempi di plagio dal passato — Emilio Salgari copiò due romanzi usciti sotto pseudonimo (“Le caverne dei diamanti” e “Avventure fra le pellirosse”); J. K. Rowling, madre di Harry Potter, è stata messa sotto accusa da una scrittrice per bambini della Pennsylvania; David Leavitt, postminimalista famoso negli anni ’80, fu costretto a ritirare “Mentre l’Inghilterra dorme”. Guai letterari anche per Raymond Carver: il suo “Cattedrale” somiglia troppo, secondo i critici, a “Il cieco” di D. H. Lawrence...
Nulla è stato detto, né prima né dopo il processo, su altri due autori che sul “Priorato di Sion” marciano ugualmente bene, e che sono perfino ospiti con un cameo nel film “Il Codice da Vinci” (sono i due passeggeri del bus nella scena in cui Tom Hanks e Audrey Tatou si trovano a Londra, vd foto sopra): Lynn Picknett e Clive Prince.
A testimonianza di una complicità fra i più vari soggetti che va ben oltre la semplice “coincidenza editoriale”.
I loro libri, sguazzando nelle medesime “fole”, vanno a gonfie vele, perfino quando parlano di complotti extraterrestri (in “La Cospirazione dello Stargate” il terreno di coltura è quello delle antiche civiltà contattate dagli UFO, altro filone editoriale ricchissimo): ne “La missione del Priorato di Sion”, “La Sindone da Vinci” e “La rivelazione dei templari”, tre dei loro best-seller, lo schema ricalca quanto accaduto al trio delle meraviglie Baigent-Leigh-Lincoln. Invariabilmente, ogni volta i due autori vengono “avvicinati” da misteriosi emissari che svelano loro scottanti segreti, e che in seguito ad affannose ricerche — in cui i due autori dimostrano più fiuto di Sherlock Holmes — risultano poi essere membri del fantomatico Priorato di Sion.